Gli Autori analizzano quei contenuti della sentenza n. 135 della Corte costituzionale italiana che hanno una ricaduta pratica per chi ha la responsabilità della cura. La Corte, con la citata pronuncia, ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Firenze con ordinanza del 17 gennaio 2024: ordinanza con la quale, dopo essere stata rifiutata la richiesta di archiviazione del procedimento penale nei confronti di tre persone che avevano organizzato il viaggio e materialmente accompagnato nella Clinica ‘Dignitas’ di Pfaffikon (Svizzera) un cittadino italiano affetto da sclerosi multipla che aveva deciso di morire con la tecnica del suicidio assistito, era stato posto l’incidente di costituzionalità dell’art. 580 del codice penale, per come “modificato” dalla Corte costituzionale italiana (sentenza n. 242 del 2019), nella parte in cui la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio viene subordinata al mantenimento in vita della persona mediante trattamenti di sostegno vitale. Nella sentenza n. 135/2024 la Corte entra nel merito delle questioni che si devono affrontare, in ogni luogo della cura, quando la persona rifiuta il trattamento sanitario e, più in particolare, quando la stessa chiede di poter morire con il suicidio medicalmente assistito. In questi casi ritiene il giudice delle leggi che il diritto all’autodeterminazione terapeutica non è mai un diritto assoluto ed incondizionato perché la tutela della vita umana riconosce, sul piano costituzionale, un’apprezzabile cintura protettiva chedeve essere comunque rispettata, difesa e salvaguardata. Gli Autori discutono poi come la Corte costituzionale abbia affrontato la questione dei trattamenti di sostegno vitale a cui i giudici costituzionali si richiamano con qualche accenno esemplificativo pur definendone il perimetro indicato in quegli interventi medici diretti al ripristino delle funzioni vitali e da cui la persona deve essere dipendente. Concludono auspicando che la verifica delle condizioni che la Corte ha indicato per poter legittimamente accedere al suicidio assistito, affidato dal giudice costituzionale alle strutture del Servizio sanitario nazionale, sia svolta con assoluto rigore soprattutto nel caso in cui siano coinvolte persone deboli, fragili o comunque vulnerabili.